Un “piccolo mondo” digitalmente antico
Nell’epoca dei social media le relazioni interpersonali sono decine, se non centinaia o addirittura migliaia. Una dinamica sociale completamente diversa da quella del passato, quando i contatti erano forzatamente in “analogico”. In quel recente passato, chi si incontrava lo faceva per esigenze personali. L’incontro era il proseguio di un percorso, vuoi ludico, professionale, politico, comunque dettato da un “bisogno”. Chi incontrava persone, chi instaurava relazioni, innescava ulteriori dinamiche sociali e, di fatto, dava vita a degli eventi. Le azioni nel presente costruivano il domani, con poca o nessuna possibilità di “controllo”. Nessuno poteva essere certo di cosa sarebbe accaduto a seguito di certe piccole azioni e, nonostante l’impegno degli analisti, dei sociologi, degli psicologi, le tante variabili e l’imponderabile la facevano da padrone.
Cosa è cambiato dall’avvento dei social?
In primo luogo la percezione del “io”. Ogni individuo ha trasferito se stesso in un percorso virtuale e, tende a vedere se stesso, come un “divulgatore di verità” attraverso la fitta rete di relazioni virtuali in suo possesso. Il controllo massificato di ogni dialogo, l’essere “attenzionati”, sono passati dall’essere l’incubo degli anni 70/80 dello scorso secolo alla virtù del nuovo millennio. Più persone ci seguono più siamo felici. Quello che ci hanno consegnato i social sono dei recinti virtuali che costruiamo autonomamente, supportati dal lavoro nascosto degli algoritmi, mentre pubblichiamo o dialoghiamo con altre persone. Un esempio è determinato dai numeri. Su ogni tema, su ogni argomento, tutti o quasi, la pensano come noi. O meglio, gli algoritmi lavorano per farci notare maggiormente chi, tra i nostri contatti, la pensa allo stesso modo. Coloro che la pensano diversamente da noi vengono relegati, sui nostri profili, nelle zone d’ombra. Che effetto ha tutto questo? L’effetto di convincerci che il mondo la pensa nel nostro stesso modo. Esempio: negli anni prima dei social, prima di compiere delle azioni, le persone dovevano incontrarsi e contarsi. Dopo l’avvento dei social gli utenti (chiamarli persone è un esercizio anacronistico), non sentono l’esigenza di incontrarsi e, senza nemmeno il bisogno di contarsi, hanno la percezione di essere migliaia, milioni.
Quali sono le conseguenze? La conseguenza di questa percezione sbagliata dell’esistente, con l’ausilio di notizie manipolate (probabilmente prodotte da AI), crea le tendenze. Spinge le persone ad attivarsi contro dei veri e propri “mulini a vento” mentre i giganti possono continuare il proprio lavoro di distruzione. La manipolazione, l’ingegneria sociale, che nell’epoca dell’analogico doveva sudare sette camicie, oggi ha tutti gli strumenti per guidare il pensiero, tanto da poter trasformare l’atomizzazione fisica, la distanza tra i corpi, in pensiero collettivo.
Che fare? Non seguire più il percorso! Raggiungere la consapevolezza che tutto è falsato. Sappiamo che i media, televisivo o cartacei, o anche digitali MENTONO, e allora non dobbiamo più seguire le loro notizie. Siano esse contrarie alla nostra sensibilità o più vicine alle nostre emozioni: non dobbiamo credergli. Spingere e sostenere tutti gli incontri fisici: il territorio digitale è di proprietà di chi ha bisogno delle nostre informazioni per controllarci. Accettare la diversità di opinioni: ogni incontro, ogni discussione, ogni scontro, crea ragionamenti e aiuta ad inquadrare il presente. Per creare le azioni, utili a cambiare la situazione attuale, abbiamo il bisogno impellente di sapere se possiamo coinvolgere la massa necessaria al raggiungimento del risultato che vogliamo. Una “percezione” scorretta può determinare una vittoria schiacciante dei nostri avversari. Disconoscere i guru: è evidente che l’individuo può essere controllato, strumentalizzato, ricattato. Un collettivo, oltre ad essere un organismo intrinsecamente più democratico di un “capo popolo”, è meno facile da controllare da parte degli “infiltratori” di professione.
Cancellare i partiti verticistici o istituzionalizzati dalla nostra esistenza: questi vivono di luce riflessa, hanno bisogno del “nemico” per esistere perché in assenza di questo non hanno ragione di esistere. Evitare coloro che, come organizzazione politica, vogliono intestarsi le battaglie: questo perché in primo luogo occupano spazi, che appartengono a tutti i cittadini, preconcetti dal sistema. In secondo luogo chi si intesta una battaglia può portare quella precisa battaglia a morire. Se così non vi sembra, io comunque vi auguro le migliori vittorie ed un fantastico avvenire, nel vostro “piccolo mondo antico”.
Emiliano Gioia
Segretario Nazionale Movimento SìAMO