Incivile a chi?!

Il perché è necessaria una rivoluzione!

​La storia dell’umanità scorre nell’alveo scavato nel tempo dall’economia. Se questo concetto può essere ritenuto vero per noi “occidentali”, e per gran parte del mondo, non tutte le società si sono sviluppate attorno al concetto di “accumulazione” e conseguente speculazione. Esistono e sono esistite civiltà che hanno fondato la loro coesione sociale e il loro sviluppo non sull’eccesso e sulla competizione, ma sulla reciprocità, sulla condivisione e su un rapporto equilibrato con le risorse naturali.

Esempi di questo tipo si trovano in modelli sociali che hanno messo al centro il bene comune e non il profitto individuale. Pensiamo al concetto andino di Buen Vivir o Sumak Kawsay, che propone una vita in armonia con la comunità e con l’ambiente, un’alternativa costituzionalmente riconosciuta in Ecuador e Bolivia. Oppure, la filosofia del Ubuntu nell’Africa sub-sahariana, riassunta nell’idea che “io sono perché noi siamo”, che esalta l’interdipendenza e la solidarietà come base di ogni sviluppo. Anche nella nostra storia, sistemi come l’Economia del Dono (o Kula, studiata da Malinowski nelle Trobriand), dimostrano che l’eccedenza può essere usata per tessere legami sociali e prestigio, anziché per l’accumulo privato di capitale. Queste culture, che per secoli hanno dimostrato una sostenibilità ambientale e sociale, sono state spesso etichettate dal nostro modello economico, cosiddetto “civilizzato”, come “primitive”, pur essendo il nostro modello quello che sta collassando in pochi decenni. La narrazione dominante ci ha sempre insegnato che il progresso è sinonimo di crescita illimitata, di innovazione tecnologica finalizzata al profitto e di supremazia del capitale sul benessere collettivo e sull’ambiente. Questa visione egemonica ha etichettato come “incivile” o “primitivo” tutto ciò che non si conformava al modello occidentale, basato sull’individualismo sfrenato e sull’estrazione incessante di valore. Ma se l’inciviltà fosse proprio l’incapacità di coesistere in modo equo e sostenibile? Come diceva il sindacalista brasiliano Chico Mendes, “L’ambientalismo senza lotta al capitalismo è giardinaggio.” L’aumento vertiginoso delle disuguaglianze economiche e la perdita di biodiversità sono la prova lampante che il sistema basato sull’accumulazione ci rende vulnerabili e incapaci di adattamento di fronte alle grandi forze naturali. Il concetto di equilibrio armonico è l’antitesi di questa logica predatoria. Esso non si limita alla sostenibilità intesa come semplice minimizzazione del danno, ma aspira alla rigenerazione e alla reciprocità con l’ambiente naturale. Significa riconoscere che la vera ricchezza non risiede nel saldo di un conto bancario, ma nella salute del suolo, nella purezza dell’acqua e nella stabilità della comunità. Questo approccio impone un ripensamento radicale della nostra economia, che deve passare dall’essere lineare (estrai, produci, getta) all’essere circolare e bio-integrata (rigenera, riusa, restituisci). Un equilibrio armonico richiede anche che le strutture sociali e politiche non siano orientate alla competizione per risorse scarse, ma alla condivisione e alla collaborazione per massimizzare il benessere comune. Poiché i grandi cicli naturali, come le ere solari, ci impongono una realtà in continuo mutamento, l’unica risposta sensata è quella di costruire società che siano flessibili nelle loro strutture, che valorizzino la conoscenza ancestrale e che operino con la profonda convinzione che il futuro dell’uomo è indissolubilmente legato al benessere dell’intero ecosistema planetario. Non si tratta di tornare indietro, ma di muoversi in avanti con una consapevolezza ecologica e sociale che la modernità ha soffocato. Non potendo controllare le dinamiche cosmiche e planetarie, l’unica strategia saggia e civile è concentrarsi sulla capacità di superare le difficoltà sociali e sulla distribuzione equa delle risorse. È giunto il momento di smascherare questa fallacia e di riconoscere che la vera civiltà risiede nella capacità di creare sistemi che onorino i limiti planetari, si adattino ai mutamenti esterni e mettano al centro la dignità umana e l’interconnessione tra gli esseri viventi. La rivoluzione necessaria non è solo politica o economica, ma è prima di tutto una rivoluzione epistemologica, un cambio radicale nel modo in cui definiamo il successo, la ricchezza e, soprattutto, la civiltà stessa. Dobbiamo disinvestire dalla logica del “più è meglio” e abbracciare quella del “basta è sufficiente”, riscoprendo il valore intrinseco delle relazioni, della cura e della rigenerazione, concetti che le culture non-occidentali non hanno mai dimenticato. Intendiamoci, la nostra non è una resa o un diventare eremiti allontanandoci dalle realtà faticosamente costruite dai nostri antenati ma è un disconoscimento totale e radicale della direzione che chi detiene il potere ha dato alla nostra società. Non vi riconosciamo come detentori della verità, non vi consentiremo più di essere gli artefici ed i costruttori della nostra realtà!

​Ci avete tolto molto dell’essere umani, ci riprenderemo tutto. Il Movimento SíAMO riparte da qui, con l’obiettivo di riconquistare:

  • ​Ci riprenderemo il tempo, liberandolo dalla schiavitù della produttività incessante, per restituirlo alla contemplazione, al riposo creativo e alla cura delle relazioni umane e naturali.
  • ​Ci riprenderemo la capacità di cooperare, superando la competizione imposta come unica via al successo, per costruire comunità basate sull’aiuto reciproco e sulla solidarietà organica.
  • ​Ci riprenderemo la sovranità sul nostro cibo e sulla nostra salute, sottraendoli alle logiche del profitto che avvelenano terra e corpi, per riaffermare l’autonomia nella produzione e nella guarigione.
  • ​Ci riprenderemo la conoscenza ancestrale, quella saggezza che il mito del progresso ha deriso e cancellato, riconoscendola come bussola essenziale per l’adattamento ai cicli naturali.
  • ​Ci riprenderemo il senso del sacro, riscoprendo il valore intrinseco e non mercificabile della vita, della natura e di ogni singola esistenza, ponendo fine alla nostra autodefinizione come meri consumatori in un mondo di risorse illimitate.
  • ​Ci riprenderemo il futuro, strappandolo alla speculazione finanziaria che lo ha ipotecato, per rifondarlo su principi di equità intergenerazionale e di autentica libertà.

​Il mondo, il nostro mondo, non è quello che ci forniscono o ci rappresentano, ma quello che, unendo le forze, le anime e le idee, sapremo costruire.

Emiliano Gioia

Segretario Nazionale del Movimento SíAMO